Ricchi di patrimonio ma senza il becco di un quattrino.

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Dalla crisi dei mutui Subprime ad oggi, la vecchia roccaforte del risparmio degli italiani sta crollando sotto i colpi della crisi economica e della forte tassazione. Il mattone non è più una garanzia, ma un grattacapo.

Per capire le ragioni della crisi strutturale del mercato immobiliare italiano che ha visto affondare le quotazioni di case, negozi, magazzini e capannoni in questi ultimi anni, dobbiamo fare un salto indietro di qualche anno, per la precisione a cavallo tra il 2006 e il 2007, quando ebbe inizio la crisi così detta dei mutui Subprime che ha falcidiato il mercato immobiliare, cresciuto in quegli anni a dismisura  sia sul fronte dei prezzi, sia sul fronte delle case disponibili alla vendita.

Banche, costruttori, immobiliaristi, politici e molti altri contribuirono: direttamente interessati a sostenere il fenomeno in quanto percettori di forti utili. Così tutto è durato oltre misura, oltre ogni ragionevole livello. Il risultato è stata l’esplosione della bolla immobiliare e di quella finanziaria nel momento in cui le famiglie, cui le banche avevano concesso mutui con troppa facilità senza curarsi troppo della reale capacità di questi soggetti di restituire il denaro loro prestato, non hanno più potuto onorare i loro impegni.

Nel frattempo le banche (pure le nostre) si scambiarono titoli cartolarizzati (operazione con la quale si converte ad esempio un mutuo in uno strumento finanziario simile ad una obbligazione, pronto per essere scambiato o peggio ancora ceduto ai risparmiatori) sino a crepare, ed il crack di Lehman Brother rappresentò l’apice della follia: sino al giorno prima le società di rating e gli analisti di tutto il mondo classavano quel colosso con tripla AAA, il massimo della solidità finanziaria.

Il resto è una storia a noi tutti tristemente nota.

Da noi la crisi finanziaria ed immobiliare si è abbattuta su una società gravata dalla presenza di un mercato del lavoro inefficiente, ma nel contempo grassa di privilegi sacri, arcaici ed intoccabili. Ha falcidiato – come ovunque nel mondo del resto – il valore degli immobili, fortino sacro dell’italico risparmiatore (giunti nel periodo pre-crisi a livelli tali da non consentire a dei ragazzi di comprare casa, nemmeno con mutui a 40 anni).

Nello stesso tempo non ha trovato un Paese pronto a mobilitarsi per affrontare l’emergenza, rimboccarsi le maniche e proiettarsi al futuro.

Ha invece trovato un Paese appesantito e ingessato sino allo stremo da una rigidità del lavoro che da anni produce solo ulteriore dispersione di risorse e zero progetti per modificare la situazione, solo provvedimenti tampone.

In questa situazione le nuove generazioni si sono trovate (e si trovano) a non poter svolgere un lavoro, oppure ad accontentarsi solo di lavoro precario, con stipendi piuttosto bassi. In definitiva i figli dei proprietari di immobili oggi non possono mantenere la casa che ereditano, e procedono a venderla – il  più delle volte – perché hanno bisogno di fare cassa (come anche molti proprietari).

Come si dice in economia? “Ricchi di patrimonio, ma senza il becco di un quattrino!” Cosa fai, ti vendi un balcone per andare avanti? non si può, devi vendere tutta la casa.

Questo fenomeno, tutt’ora in corso, ha prodotto, e produrrà, un ulteriore flusso di vendite di immobili, proprio perché i redditi – presenti e futuri – di gran parte della popolazione rimarranno bassi.

Ma non basta.

Il lavoro sarà sempre più legato alla produttività piuttosto che ai Ccnl (contratti di lavoro collettivi): il futuro degli italiani non sarà più basato su stipendi e pensioni garantite. E su questo, di recente, l’attuale Presidente del Consiglio è stato molto chiaro, senza sottili giri di parole: “Il posto fisso non esiste più”.

Ma ancora non basta, c’è dell’altro.

Un ulteriore fenomeno di erosione del valore degli immobili è collegato al pesante carico fiscale sulle seconde case, inasprimento inevitabile, perché il nostro Stato non può più tartassare ulteriormente il mondo produttivo, pena la chiusura di ogni tipo di attività.

Non possono fare altro: tassare il patrimonio visibile e non trasferibile oltre confine. E cosa c’è di meglio del patrimonio immobiliare degli italiani il cui valore supera la pazzesca cifra di 7.000 miliardi di euro? Nulla! E’ questa la grande ricchezza visibile degli italiani. Per capire meglio le dimensioni del fenomeno basta pensare che mettendo insieme tutto il debito pubblico dell’Italia (poco più di 2.000 miliardi di euro) e tutta la ricchezza finanziaria degli italiani (circa 4.500 miliardi di euro), non si raggiunge quella cifra.

Perciò, dati alla mano, sappiate che ogni qual volta il Governo avrà bisogno di reperire risorse, non ci penserà due volte a tassare gli immobili.

Da noi poi c’è anche una questione su cui tutti sembrano far finta di niente: la cementificazione è enorme, il rapporto abitazioni/popolazione è altissimo, dunque non abbiamo necessità di costruire nuovi alloggi, la popolazione diminuisce e l’unico motivo per spronare l’edilizia risiede nel fatto che essa produce reddito per moltissimi lavoratori ed operatori del settore e non è un caso che le poche detrazioni fiscali concesse dallo Stato siano proprio indirizzate verso interventi di recupero e restauro del patrimonio edilizio già esistente.

Per finire c’è da considerare l’importantissima questione di cui molto presto sentiremo parlare allo sfinimento su TV e giornali: l’inevitabile inasprimento dell’imposta di successione. Una manovra che garantirebbe alle casse dello Stato circa 40 miliardi di euro all’anno.

Oggi l’Italia è un paradiso fiscale da questo punto di vista. Caso unico in tutta Europa, abbiamo una franchigia di esenzione pari ad 1 milione di euro per ogni erede, e la tassa parte dal 4% per figli e coniuge.

Le medie europee sul tema sono molto più elevate e già sono forti le pressioni verso il Governo per allineare l’imposta di successione del Bel Paese alla media europea. Le indiscrezioni, parlano di abbassare l’esenzione a 100 mila euro e l’aliquota minima al 20%.

E’ chiaro?

Questo significa che chi erediterà una casa si dovrà ricomprare dallo Stato buona parte della casa stessa, senza contare l’ulteriore mazzata che sta per giungere: la revisione delle rendite catastali – in base alle quali si pagano Imu e Tasi – che saranno certamente ritoccate al rialzo.

Cosa credete causerà tutto questo al mercato immobiliare?

E’ la fine di un’epoca, signori e chi si sveglierà per primo potrà evitare gran parte dei guai. La crisi del mercato immobiliare è destinata ed essere permanente, non passeggera.

Parafrasando una famosa frase del film “L’ultima minaccia” di Richard Brooks, verrebbe da dire: <<E’ il de profundis del mattone, bellezza. L’ultimo saluto. E tu non ci puoi fare niente! Niente!>>.

Orientarsi tra le proposte di banche, poste, assicurazioni e consulenti. Ecco come evitare brutte sorprese.

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Non è facile orientarsi nella giungla selvaggia delle offerte di prodotti finanziari e assicurativi. Il rischio è quello di incappare in soggetti pronti a rifilare qualsiasi cosa, infischiandosene delle esigenze del cliente. I consigli per uscirne vincenti.

Caro lettore, oggi voglio iniziare raccontandoti qualche aneddoto. Qualche mese fa decisi di fare una piccola ricerca di mercato. Volevo scoprire di persona cosa offriva la mia concorrenza e il loro modo di lavorare. Decisi così recitare la parte del cliente con scarse conoscenze finanziarie, interessato ad investire una somma di circa 30 mila euro e mi recai presso alcune banche.

Nella prima visita mi presento all’impiegata dello sportello consulenza dicendo che ho queste somme derivanti da vecchi risparmi e che vorrei investirli. Chiedo perciò cosa può consigliarmi. La ragazza mi propone subito un buono di risparmio della banca vincolato a 24 mesi con un tasso di interesse annuo netto dell’ 1,36%. Non mi chiede per quanto tempo posso tenere il denaro vincolato, né che esigenze ho. Quale rischio posso sopportare, neanche a parlarne. Fine del nostro incontro. Mi alzo e me ne vado. Durata della consulenza: 10 minuti scarsi. Interesse verso di me: zero. Avevano il prodotto già bello pronto da rifilarmi e tanti saluti.

Decido di provare con un altro istituto. Le cose vanno persino peggio. Questa volta parlo direttamente col direttore della filiale. Mi chiede per quanto tempo posso tenere vincolati i soldi. Rispondo che tra 6/7 anni potrei aver bisogno di parte delle somme per cambiare l’auto. Il direttore a questo punto si illumina. Mi risponde che per acquistare l’auto non c’è bisogno di disinvestire, e mi consiglia di fare un prestito personale da loro. Per quanto riguarda le somme da investire, mi propone un certificato di deposito con scadenza a 30 mesi (ma io dissi di poterli tener fermi anche 6/7 anni) al 2% di interessi all’anno. Ma come? Io dovrei investire i miei soldi al 2% all’anno e poi, per comprare l’auto, mi viene consigliato di accendere un prestito personale, magari al 9% annuo (se mi va bene). Un’offerta davvero vantaggiosa, per loro. Una vera bestialità per il risparmiatore. Usando le mie somme risparmierei quanto meno i grassi interessi da riconoscere alla banca.

Non mi arrendo, voglio sperare di trovare qualcuno che faccia il proprio lavoro come si deve. Visito altre banche, la storia è quasi sempre la stessa. Interesse verso di me nessuno, l’unica cosa che conta sono i 30 mila. E tra proposte assurde da un lato e furbizia da quattro soldi dall’altro, approdo finalmente al “caso clinico” del nostro sistema bancario.

Anche questa volta mi riceve il direttore della banca. Anzi, ci riceve, perché mi presento in filiale con la mia compagna, spacciandoci per novelli sposi desiderosi di investire i regali di nozze. Il direttore, dopo i convenevoli, ci chiede che orizzonte temporale abbiamo e che rischio siamo intenzionati a sopportare. Io e la mia compagna facciamo finta di non aver capito cosa intendesse e chiediamo di spiegarci che rischi corriamo investendo con loro. Il direttore allora ci chiede se siamo disposti a vedere delle oscillazioni periodiche o meno. Io rispondo di no e che probabilmente questi soldi potrebbero servirci entro 5/6 anni per acquistare una casa più grande. A questo punto ci fa un’offerta abbastanza complessa, consigliandoci di dividere le somme su più prodotti, ma la parte del leone la fanno le obbligazioni della banca stessa. E qui mi fermo. Perché è qui che il nodo è finalmente venuto al pettine.

Le obbligazioni della banca in questione presentavano (e oggi più che mai, presentano) un rischio altissimo (e io avevo chiesto rischio zero). Già al tempo del mio teatrino, la banca navigava in acque nerissime. E il direttore ne era ovviamente a conoscenza. Il punto è questo. La persona che avevamo di fronte ha cercato inizialmente di fare il proprio mestiere con discreta professionalità e buon senso. Almeno nel principio si è comportato in maniera deontologicamente corretta. Ci ha fatto domande. Si è interessato a noi. In parte ci ha ascoltato. Ma al momento della proposta è stato costretto a rifilarci quello che la banca chiedeva di piazzare e che nessuno voleva: le obbligazioni proprie. Un palese conflitto di interessi, che la banca avrebbe risolto a suo favore.

Casi come questi ne vedo tanti purtroppo, anche coi miei clienti, cui in passato è stato rifilato di tutto. Cito un caso in particolare. Riguarda una compagnia assicurativa. Al cliente, desideroso di mettere da parte dei risparmi nel tempo è stata rifilata una polizza vita con versamento mensile. Fin qui tutto normale. Il problema è che non gli è stato detto che su ogni versamento pagava l’ingorda cifra del 12.9% di caricamenti, più i costi di incasso rata e quelli di frazionamento mensile (5%). Ora, considerando che le rate mensili sono tutte uguali, questa persona pagava all’anno la bellezza del 17.9% di costi a fronte di un rendimento netto annuo del 3% circa. Per intenderci, ogni 100 euro versati, 18 se ne andavano di costi e solo 82 venivano versati. Decisamente troppi, anche considerando la garanzia della copertura caso morte. Se avesse mantenuto la polizza fino a scadenza, versando regolarmente,  al ventesimo anno avrebbe riottenuto pressappoco le somme versate più qualcosina. Ma non è finita. Gli era stato spiegato che nei primi 2 anni non poteva toccare le somme depositate, poi, nel caso ne avesse avuto bisogno, avrebbe potuto richiederle. Il problema è che, passati i due anni, se avesse prelevato le somme ci avrebbe perso ben il 60% e questo non gli è stato assolutamente detto. Potete immaginare come è andata a finire.

A questo punto mi preme però sottolineare una cosa. Non è che i “pacchi” vengono rifilati a chi è fesso o ingenuo. Seguo persone molte sveglie a cui sono state vendute ugualmente schifezze. La materia finanziaria è talmente vasta e alcuni prodotti oggigiorno sono talmente complessi che, per chi non è del mestiere, è complicatissimo orientarsi e scegliere in maniera corretta. Il bombardamento pubblicitario e i venditori mandati all’assalto, fanno il resto. Il “fai da te” poi è la strada peggiore, quella dove si prendono sonore fregature. Con una differenza. Non te la puoi prendere con nessuno se non con te stesso.

Allora cosa fare? Quale strada seguire per evitare di incappare in venditori mordi e fuggi, in fregature o peggio ancora, in vere e proprie truffe?

Ecco alcuni consigli utili per fare una buona scrematura.

1) Interesse verso la tua persona.

Prima di dare la tua fiducia (e i tuoi soldi) a qualcuno – anche a parenti e amici – accertati che questo nutra interesse verso di te. Non confondere per interesse verso di te il saluto con mille sorrisi, la telefonata alle ricorrenze o gli inviti a cene ed eventi. Anche questo fa parte della relazione col cliente, ma il professionista veramente interessato a te è quelle che ti fa molte domande: sulla tua vita, sulle tue esigenze, sulla tua famiglia. Ti chiederà l’entità del tuo patrimonio e come è composto, come ti trovi con i prodotti che usi e cosa miglioreresti,  che rischio sei disposto a sopportare, se hai debiti e a quanto ammontano. E così via. Solo alla fine ti chiederà se e con quanto sei disposto a investire con lui. Diffida subito da chi ti butta davanti proposte senza averti prima ascoltato e capito cosa vuoi.

2) Prodotti semplici e linguaggio chiaro e trasparente.

Controlla che ti vengano proposte cose semplici e spiegate in maniera chiara.  Compresi i costi. Se anche dopo la spiegazione, ti risulta poco trasparente quello che ti è stato proposto, non sottoscrivere.

3) Incontri più volte all’anno.

Chiedi l’impegno a chi ti sta di fronte ad incontrarti almeno ogni 6 mesi (3 mesi se la tua situazione è più complessa). Questi incontri servono a fare il punto della situazione, vedere se emergono nuove esigenze e per comunicare eventuali novità nella tua situazione familiare e finanziaria. Chiedi che ti vengano lasciare contatti e recapiti. Se ti viene risposto di no, non fidarti.

4) Evita i conflitti di interesse.

Importantissimo, verifica i conflitti di interesse. Se ti vengono proposti prodotti “di casa” fatti dire perché sarebbero meglio per te, di quelli della concorrenza; soprattutto se chi te li propone ha la possibilità di darti prodotti terzi.

5) Risparmia e investi per uno o più scopi precisi.

Tieni a mente una cosa fondamentale: nessuno ha la possibilità di prevedere il futuro e quindi tanto meno promettere di farti diventare ricco. Lascia stare chi ti propone prodotti spacciati per sicuri garantendo rendimenti importanti. Nella migliore delle ipotesi è un ciarlatano che non sa neppure quello che dice. I rendimenti sperati, vanno di pari passo col rischio assunto. Chi vuole di più, deve rischiare di più. Gli arbitraggi sono rarissimi e di certo c’è chi li ha già colti prima di te. Analizza sempre, insieme al consulente, questi 5 punti: esigenze di breve, medio e lungo termine, coperture assicurative e previdenza integrativa.

6) Fatti lasciare tutti i documenti.

Bisogna sempre farsi lasciare i documenti e conservare quelli ricevuti per posta. Le carte fondamentali sono: i questionari di adeguatezza e antiriciclaggio, i contratti sottoscritti (tutti: di consulenza e dei prodotti), i prospetti informativi e i KIID (Key Investor Information Document). E, prima di firmare, verifica sempre che le informazioni da te fornite, corrispondano a quelle riportate sui documenti. La regola generale è quella di farsi lasciare copia di qualsiasi cosa tu abbia firmato. E’ uno specifico obbligo di legge.

7) Non consegnare mai denaro contante.

Se ti viene richiesto, da chi ti segue, di rilasciargli le password di accesso ai conti correnti, di delegare l’operatività sul conto a lui o peggio ancora, di consegnargli il denaro da investire, in contanti, chiama la polizia. E’ assolutamente vietato dalla legge l’utilizzo di denaro contante per effettuare versamenti riguardanti polizze vite o strumenti finanziari. E’ importante che tu sappia che le pene si estendono anche a chi effettua il versamento, non solo a chi riceve il denaro.

La sana e prudente gestione dei tuoi risparmi richiede un certo impegno da parte tua, che non è quello di essere un esperto di finanza, ma quello di capire chi hai di fronte.

Far lavorare i soldi per noi. Illusione o obiettivo possibile?

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Diversificazione del rischio,  orizzonte temporale adeguato e obiettivi  ben precisi. Questi i punti da cui partire per puntare ad un reddito periodico e alla crescita del capitale nel tempo.

Con lo scoppio della crisi finanziaria ed occupazionale e l’intensificarsi dei suoi effetti, il boom dei giochi a premio e del gratta e vinci in particolare, con Win for Life su tutti, ha riproposto il mito del vivere di rendita, con la speranza di vincere 4.000 € al mese per vent’anni; e da allora è stato un continuo proliferare di gratta e vinci che promettono rendite da nababbi: “Turista per Sempre” della Lottomatica, ad esempio, promette, con l’acquisto di un biglietto da 5 euro la speranza di vincere 200.000, 6.000 euro al mese per 20 anni e almeno 100.000 euro di bonus finale.

Al di là dei “sogni dorati”, realizzati da pochissimi fortunati, volgendo lo sguardo al lato pratico, è possibile e con quali strumenti si può costruire il proprio piano di rendita?

Occorre fare innanzitutto una doverosa premessa. Il vivere di rendita presuppone l’avere già un capitale accumulato. Volendo collocarsi temporalmente nella vita di un lavoratore si può idealmente immaginare di trovarsi in una fase avanzata, sul calare della carriera sia per raggiunti limiti di età o per fuoriuscita “forzata” dal mondo del lavoro. Altro caso concreto potrebbe essere quello di avere avuto guadagni importanti derivanti o da idee imprenditoriali vincenti o ancora da eventi economicamente fortunati (eredità, vincite), che hanno consentito di far “guadagnare” qualche anno al progetto di rendita.

La buona notizia è che per avere una soddisfacente integrazione del proprio reddito non è necessaria una cifra enorme. Già con 30.000 euro, ad esempio, nell’odierno contesto di mercato, si può ottenere una rendita annua pari a circa 1.600 euro (135 euro al mese), senza esporsi a rischi importanti. Se invece consideriamo un capitale di 100.000 euro, la cedola sarà di 5.400 euro lordi all’anno. Per intenderci, più di quanto oggi riesce a fruttare un appartamento al mare di pari valore se lo si fittasse.

Considerato tutto ciò, esiste un’interessante soluzione che consente di combinare un’ampia diversificazione del rischio del portafoglio a una remunerazione periodica dell’investimento, permettendo ai risparmiatori di vivere di rendita con i fondi, o più realisticamente, di integrare il proprio reddito da lavoro per affrontare con più tranquillità le spese quotidiane oppure concedersi qualche spesa in più (viaggi, cene, etc.). La soluzione consiste nel sottoscrivere i comparti dei fondi a distribuzione della cedola.

I fondi comuni di investimento con questa caratteristica assicurano, come tutti i fondi comuni d’investimento, un’efficace diversificazione del rischio (quindi un rischio abbastanza contenuto di avere perdite sul capitale). Il gestore, infatti, investe di solito in centinaia di titoli, il che riduce il pericolo di fallimento a percentuali frazionali del portafoglio: se, per esempio, si hanno in portafoglio 100 titoli (obbligazioni, azioni) di altrettanti diversi emittenti, e uno di questi dovesse fallire o andare particolarmente male, la perdita sarebbe limitata a circa l’1% del portafoglio. Questo permette di poter contare con ragionevole certezza (sebbene senza nessuna garanzia assoluta) che il capitale investito sia, non solo disponibile nel medio lungo termine (dai 3 ai 10 anni o più a seconda della tipologia di comparto sottoscritto), ma anche rivalutato.

In parallelo, come già detto, il fondo che distribuisce una cedola periodica aggiunge un importante beneficio al sottoscrittore: quello, cioè, di incassare una rendita utilizzabile per molteplici finalità: integrare le entrate di famiglia, coprire alcune spese finalizzate a migliorare la qualità della vita (come, per esempio, pagare la retta scolastica piuttosto che l’affitto di una seconda casa al mare o in montagna), finanziarie le rate di un prestito (per l’auto, per gli arredi della casa, etc.), migliorare le risorse a disposizione per il divertimento e per il tempo libero (viaggi, vacanze, palestra, etc.). Senza poi trascurare un’altra importante proprietà che l’incasso della cedola esercita sulla psicologia del risparmiatore. Quest’ultimo, infatti, potendo contare su un reddito periodico, è spinto a concentrare la propria attenzione su come utilizzare al meglio tale rendita e a essere meno apprensivo sul calcolo del guadagno o della perdita del fondo: a quel calcolo ci si potrà dedicare con la giusta calma ogni tre/sei mesi o una volta all’anno.

Tutto questo permette al risparmiatore di beneficiare, anno per anno, dei frutti (sotto forma di cedole periodiche) dell’investimento e di mantenere nel medio lungo termine il valore del capitale investito.

Sul mercato italiano, sono disponibili parecchi fondi a distribuzione delle cedole: qualcuno lo fa una volta l’anno, altri ogni sei mesi, altri ancora ogni trimestre e alcuni, addirittura, liquidano una cedola al mese.

Al momento della scelta dei fondi in cui investire per ottenere la rendita, è opportuno informarsi innanzitutto su come viene generata quella rendita. Questo perché, alcuni fondi, allo scopo di mantenere le promesse circa l’importo fisso della cedola, oltre ai proventi maturati, disinvestono anche parte del capitale. Questa è una cosa assolutamente da evitare, perché intaccherebbe in maniera importante, riducendolo, la fonte primaria della rendita: il Capitale investito.  In linea con quanto appena detto, bisogna poi fare attenzione alle offerte troppo allettanti. Facciamo un esempio. Nel contesto di mercato odierno, caratterizzato da tassi di interesse estremamente bassi, la promessa di cedole elevate, nella maggior parte dei casi nasconde dei rischi occulti: operazioni in derivati e opzioni, disinvestimenti del capitale, utilizzo smodato della leva finanziaria e via dicendo. Oggi, una cedola annua che con ragionevole certezza (ma bisogna sempre verificare) non nasconde sorprese, non dovrebbe superare il 5% lordo. Se desideriamo di più, dobbiamo anche essere disposti a rischiare più del necessario e considerare la possibilità di vedere delle perdite di capitale anche importanti nel breve periodo.

Altro aspetto importante da valutare con attenzione, specialmente se la rendita che il capitale riesce a generare è di modesta entità, è il costo che talune banche fanno pagare ai propri correntisti per l’accredito delle cedole. Il consiglio è quello di aprire un conto corrente dove non sia previsto il costo per l’accredito di cedole e dividenti, e verificare che la banca corrispondente della società che gestisce il fondo non faccia pagare l’accredito di dividenti. In caso contrario si rischia di pagare due volte lo stesso servizio, riducendo così in maniera importante il valore della rendita, specie se di modesta entità e con erogazione frequente (mensile, trimestrale).

Infine, l’investitore tenga presente che, tutti i proventi incassati dalle cedole, non incidono ai fini del calcolo delle imposte sul reddito, in quanto tali proventi, al momento dell’erogazione sul conto corrente, hanno già scontato l’imposta sostitutiva che oscillerà tra il minimo del 12,5% nel caso il fondo sia composto interamente da titoli governativi al 26% nel caso in cui non vi sia presenza di questi titoli o assimilati. Nella realtà, l’imposta sarà calcolata con un’aliquota media compresa tra le due aliquote minima e massima, a seconda del peso che le classi di titoli avranno all’interno del fondo.

Paura del buio? I consigli per dormire sereni.

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A tutti noi è capitato da piccoli di avere paura del buio. Una sensazione tanto forte, quanto irrazionale, che ci portava a vedere pericoli ovunque e a tirar su la coperta fino alle orecchie: nell’armadio, sotto al letto, dietro la porta, nelle ombre. Ma la mattina seguente, alla luce del sole, tutto tornava tranquillo. L’armadio tornava ad essere il posto rassicurante di sempre, col suo forte odore di naftalina, dove conservare i vestiti e scomparire quando si giocava a nascondino con gli amici; gli oggetti della stanza riacquistavano la loro familiarità e noi la serenità e il sorriso.

Anche negli investimenti non è molto diverso. I risparmiatori tendono a farsi assalire da paure spesso irrazionali e ingiustificate, che portano a scappare quando i mercati scendono e ad investire con euforia quando salgono. Niente di più sbagliato. Questo atteggiamento è spiegato dalla finanza comportamentale ed è un comportamento normalissimo degli esseri umani, un retaggio primitivo, che ha consentito all’uomo di arrivare fino ad oggi, proteggendolo dai pericoli del mondo agli albori dell’umanità e che è rimasto nonostante millenni di evoluzione.

Un comportamento però, che nel mondo del risparmio ha un effetto disastroso. Disinvestire quando i mercati scendono e investire quando salgono è il primo passo per essere tosati come pecore. Nel primo caso si realizzano materialmente perdite, che spesso possono essere tranquillamente recuperate nel tempo, perdendo ottime opportunità di guadagno; nel secondo caso si rischia di mettere i propri risparmi in strumenti finanziari che sono saliti talmente tanto, che la quotazione è del tutto ingiustificata e che poi crollano di colpo (le famose “bolle finanziarie”: l’ultima la bolla del mercato immobiliare Statunitense che tra il 2006 e il 2007 aveva raggiunto quotazioni folli, drogato dal fenomeno dei mutui Subprime, che ha acceso la miccia della crisi finanziaria del 2008), facendo perdere gran parte dei risparmi alla gente.

A questo punto è lecito domandarsi: “Come gestire tutto questo?”

Avventurarti negli investimenti e nel risparmio da solo, te lo dico subito, è la cosa peggiore che puoi fare. Col bombardamento mediatico di TV, giornali, riviste e siti internet e le pressanti offerte commerciali di banche e assicurazioni è difficile oggigiorno avere le idee chiare su come investire, in cosa e perché.  Il risultato è quello di vivere con ansia, paura o euforia eccessiva le fasi di discesa e di salita dei mercati, realizzando, nella maggior parte dei casi, perdite anche importanti.

I risparmiatori e gli investitori di successo, che guadagnano anche durante la crisi, sono quelli che investono per il raggiungimento di obiettivi specifici e che, una volta scelta la strategia e gli strumenti per adottarla, rimangono fedeli ad essa, indipendentemente che i mercati salgano o scendano. Perché accade questo? Semplice! Perché le scelte di investimento sono frutto di un piano, di una strategia che deve dare i suoi frutti in un determinato periodo di tempo programmato ed è solo allora che si tireranno le somme e si valuterà se l’investimento è stato buono o meno buono. Tutto ciò che succede nel frattempo è irrilevante se si sono definiti bene obiettivi e profilo di rischio e scelti gli strumenti adatti a portare avanti la strategia.  Invece, tutte le scelte fatte a caso o sulla base di previsioni o consigli del “Guru” di turno, dell’amico o del parente, si dimostrano quasi sempre un fallimento, questo perché nessuno è in grado di prevedere il futuro. Chi dice il contrario, nel migliore dei casi è un ciarlatano che vi farà perdere un sacco di soldi.

Ad ogni modo, il ruolo del consulente finanziario è cruciale per rispondere alla domanda. Di fronte a un cliente che umanamente ha desideri e paure, è chiamato a tradurre i primi in obiettivi d’investimento e le seconde in profilo di rischio. Per poi conciliarle in un piano d’azione condiviso. Un compito tutt’altro che semplice.

Ma come scegliere il giusto consulente finanziario?

In giro ci sono tantissimi consulenti finanziari, o sedicenti tali. Tutti belli, bravi e buoni, ma il consulente finanziario, quello bravo e che sta dalla tua parte, è quello che prima di tutto si interessa a te e poi ai tuoi soldi. Il bravo consulente è quello che vuole conoscerti sempre meglio, quello che si interessa alle tue esigenze, ai tuoi desideri, i tuoi sogni, insomma, alla tua vita e poi ai soldi che sei disposto ad investire. Non viceversa. Il compito del consulente finanziario è quello di tradurre le tue esigenze in obiettivi e accompagnarti a raggiungerli, gestendo le tue ansie,  le tue paure ed in genere la tua emotività, per farti diventare un risparmiatore vincente.

Il consulente è fondamentale per il risparmio previdenziale

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Immagina un vecchietto bislacco che aveva pianificato di spendere ogni suo avere fino al compimento dell’ottantesimo anno di età, giorno in cui pensava sarebbe morto. Ma la sera del compleanno, scoprendo di non esser morto, si ritrovò povero in canna, in lacrime, costretto a dipendere dalla generosità di altri. “Orsù” esclama uno dei presenti “vorrà dire che per questa notte l’albergo ve lo pagherò io”. “Grazie … ma … e domani?” “Beh, domani speriamo che Ella muoia”.

Questo strambo personaggio è un ottimo esempio di ciò che non si deve fare e cioè pianificare la gestione dei propri risparmi, anche quelli previdenziali, affidandosi alle sensazioni.

La nostra mente riconosce il rischio nelle componenti della paura, la classica situazione di pericolo, e dell’incertezza, la condizione dell’ignoto che rende prudenti. Nel risparmio previdenziale sono assenti entrambe le componenti, non si prova paura né si percepisce l’incertezza del futuro remoto perché l’attenzione è concentrata nel breve termine. Ciò che consumiamo subito “vale” di più di quello che consumeremo in futuro. Gli economisti e gli psicologi cognitivi parlano di “pervasiva svalutazione del futuro” perché non si percepiscono in modo adeguato le conseguenze dei comportamenti assunti nel presente, ed è questa la ragione per cui si rischia di rimandare nel tempo la pianificazione pensionistica.

La riforma della previdenza complementare nel 1993 e soprattutto il passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo istituito nel 1995 hanno aumentato l’importanza della pianificazione finanziaria ai fini pensionistici, ed è di conseguenza cresciuta la responsabilità individuale nella pianificazione del risparmio di lungo periodo, nella gestione delle abitudini di consumo.

Il dibattito di queste settimane sulla destinazione di parte del Trattamento di Fine Rapporto (Tfr) nella busta paga dei lavoratori va correttamente letto nella decisione delle scelte di consumo intertemporali, nella maggiore responsabilità degli individui sulla qualità della loro vita una volta in pensione. Scegliere di avere maggior disponibilità di denaro subito comporta la rinuncia ad accantonare risorse per il futuro.

Secondo uno studio di Barbara Alemanni dell’Università di Genova e Caterina Lucarelli dell’Università delle Marche, la propensione all’accantonamento previdenziale aumenta tra coloro che hanno maggiore familiarità con gli investimenti e, soprattutto, tra coloro che si avvalgono della consulenza professionale. La programmazione finanziaria ha a che fare con l’incertezza del futuro e quando si ha a che fare con il rischio, le emozioni, come la speranza o la paura, giocano un ruolo critico.

Quando si gestisce da soli il proprio risparmio, ordinario o previdenziale, le emozioni e l’impulsività rischiano di generare decisioni sbagliate, provando paura quando non si dovrebbe e magari uscendo dai mercati quando non si dovrebbe, e viceversa.

Non riusciamo a guardare avanti senza distogliere gli occhi dallo specchietto retrovisore perché migliaia di anni di evoluzione non ci hanno “programmati” a vedere correttamente l’orizzonte di lungo termine, siamo intrappolati nelle emozioni dell’immediato.

L’attenzione eccessiva al breve termine comporta un altro rischio, il paradosso per cui, sarebbe meglio, per il benessere dei nostri risparmi, che il loro andamento non ci stesse troppo a cuore. Perché, se ci sta molto a cuore, finiamo per controllare troppo spesso come vanno. Seguire con apprensione gli alti e i bassi dei risparmi innesca errori nella scelta dei momenti di entrata/uscita dai mercati.

Alla luce di tutto questo è facile notare come il consulente finanziario può aiutare a gestire l’universo di emozioni del risparmiatore e condurlo al successo nella gestione dei propri risparmi per garantire la serenità presente e futura.

Tutela del reddito della famiglia: proteggere i propri cari dalle disgrazie

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La famiglia è universalmente riconosciuta come nucleo sociale per eccellenza, tanto da meritarsi una serie di tutele riconosciute dalla Costituzione.

Essa è centro gravitazionale di affetti, valori e tutele, oggi più che mai. Basti pensare al ruolo sempre meno presente dello Stato nell’assicurare assistenza e sostegno economico a quelle fasce di popolazione svantaggiate che, per svariati motivi, non possono provvedere autonomamente al proprio sostentamento o che hanno bisogno della continua assistenza di una persona per lo svolgimento anche delle più semplici attività quotidiane. Stiamo parlando di minori, anziani, invalidi e inabili.

I familiari rappresentano una vera e propria ancora di salvezza per questi soggetti, senza i quali, per alcuni di loro, sarebbe impossibile la sopravvivenza.

Il punto della questione però è un altro. Incontro a quale destino andrebbero queste persone, nel caso in cui dovesse venire a mancare anche solo uno dei portatori di reddito della famiglia (spesso le famiglie sono persino monoreddito)?

E’ vero che l’amore di un proprio caro non ha prezzo e nessuna somma al mondo sarà mai in grado di colmare il vuoto lasciato nei nostri cuori, ma la scomparsa del sostegno economico di una famiglia, senza le opportune tutele, rischia di trasformarsi in una tragedia con conseguenze più ampie.

Immaginate un signore quarantenne, sposato e con figli minorenni ancora in età scolare. Lui dipendente di una ditta di autotrasporti, la moglie casalinga, casa di proprietà e mutuo ancora da pagare. Per svariate circostanze il nostro quarantenne si ammala e nel giro di qualche mese viene a mancare. Egli era riuscito a mettere da parte una piccola somma di circa quindicimila euro. Al dramma della scomparsa del marito e padre dei due bambini, si somma quello della totale assenza di reddito della famiglia, l’istruzione da garantire ai figli e il mutuo da pagare. L’unica risorsa economica sulla quale potrà contare la famiglia sono i quindicimila euro (al termine della successione), che tra spese di funerale e varie basterà per poco tempo.

Come avrebbe potuto proteggere la propria famiglia il nostro quarantenne?

Lo strumento da utilizzare, in una corretta pianificazione finanziaria della famiglia, per far fronte a rischi di questo tipo è la TCM, ossia la polizza assicurativa caso morte, che a fronte del pagamento annuo del premio, garantisce l’erogazione ai beneficiari delle somme pattuite in caso di decesso dell’assicurato (in alcune polizze è coperto anche il caso di invalidità permanente).

La domanda successiva da porsi è: quale somma devo assicurare?

Non c’è una risposta univoca, e a questa domanda può rispondere solo ciascuno di noi in base agli impegni che ha in essere, allo stile di vita che conduce la propria famiglia, alle esigenze delle persone a carico e così via. Un buon punto di partenza è quello di considerare subito l’ammontare dei debiti a carico (mutui, prestiti, etc.) in modo almeno da non lasciare passività agli eredi e poi considerare il costo annuo della famiglia e quantificare il fabbisogno economico dei soggetti a carico per il tempo fino a quanto non saranno in grado di provvedere autonomamente.

Ad esempio, se si vuol tutelare un minore fino al completamento del ciclo di studi universitari, si dovrà quantificare una cifra da assicurare che tenga conto anche dei costi legati ad un percorso di studi universitari.

Tutelare la propria famiglia passa anche da una corretta pianificazione finanziaria e dalla copertura dai grandi rischi, partendo proprio dalla tutela del reddito che, non allevierà mai il dolore per la scomparsa di una persona cara, ma se ciò dovesse accadere, consentirà di affrontare più serenamente il futuro.