Come garantire l’istruzione ai figli. Il risparmio ci viene in aiuto.

Università

In un mercato del lavoro, dove sono richieste sempre più competenze di alto livello, il possesso di un titolo di studio accademico agevola la ricerca dell’occupazione.  Gli strumenti del risparmio aiutano le famiglie a dare la massima istruzione ai figli, senza sobbarcarsi di debiti.

In un’era dove le risorse scarseggiano e la ricerca di un posto di lavoro è cosa aspra e dura, fa strada chi possiede il bagaglio culturale e di conoscenze più grande degli altri. Che si volga lo sguardo in Italia o all’estero, le cose non cambiano. Chi più conosce e sa applicare quanto appreso, ha un percorso decisamente più agevole verso un futuro sereno.

Secondo il rapporto annuale 2014 sulla situazione del Paese, fornito dall’Istat (Istituto nazionale di statistica), la partecipazione al mercato del lavoro è strettamente legata all’istruzione. Tra gli uomini di 30-34 anni, l’80% di laureati o diplomati è occupato contro il 67,4% di quelli con al più la licenza media; se laureate, le donne sono occupate nel 73,6% dei casi contro il 37,5% di quelle che hanno al più la licenza media.

L’istruzione dei figli non è più, quindi, un mero obbligo formale, sancito dalla Costituzione. Oggi cessa di esser tale è diventa obbligo morale dei genitori, per dare un’opportunità in più ai figli. Anzi, l’opportunità!

Una recente ricerca di Career Paths, azienda specializzata nella costruzione di percorsi professionali e di carriera dalle scuole medie all’università, dimostra come un investimento nell’educazione abbia un ritorno annuo compreso tra il 30 e il 69% delle somme utilizzate. I dati sono ricavati dal rapporto fra stipendio medio a un anno dalla laurea e investimento sostenuto (per l’università). Risultato: il rendimento di una cifra spesa nell’educazione è pari al 69% per una laurea triennale, al 53% per una laurea magistrale, e al 30% per un quadriennio in uno degli otto college della Ivy League, i mostri sacri dell’accademia americana.

Ma quanto costa mandare i figli a studiare all’università?

Sempre secondo lo stesso studio di Career Paths, per garantire ad uno studente un ciclo di studi triennale, in media le famiglie italiane spendono 19 mila euro totali (6.350 euro annui, dati dalla somma di 1.400 euro di media per le tasse universitarie, 4.500 euro di costi della vita per i fuorisede e 450 euro di libri di testo e materiale didattico); mentre, per un ciclo di studi che comprenda anche la laurea magistrale, la spesa si aggira intorno ai 32 mila euro. Discorso a parte se l’obiettivo è mandare i propri figli a studiare in università private oppure a Yale o Harvard, in America. In questi ultimi casi, i costi lievitano.

Considerati, dunque, i costi non proprio bassi per consentire ad un figlio di portare a compimento un ciclo di studi universitari, le domande successive che ogni famiglia dovrebbe porsi sono: “come rendere disponibili queste somme?” e soprattutto: “come garantirle ai figli in caso di decesso prematuro di uno o entrambi i genitori?”

La soluzione – sbagliata – che molte famiglie adottano difronte alla volontà dei propri figli di conseguire una laurea, è quella di iscriverli all’ateneo più vicino a casa, giustificando la scelta con la più classica delle scuse: “un’università vale l’altra”. Niente di più sbagliato. Come in tutti gli ambiti ci sono persone brave in qualcosa e persone più capaci in altro, così ci sono atenei buoni in alcune discipline e atenei migliori in altre. Se il criterio guida nella scelta dell’università da far frequentare ai figli è quello dell’ateneo migliore, allora è necessario pensare sin da subito a come accantonare le somme necessarie al pagamento degli studi accademici ai figli.

Ma quanto subito?

Semplice: dal momento in cui vengono alla luce. Non c’è regalo migliore che i genitori, i nonni o gli zii possano fare ai propri figli e nipoti, che mettere da parte costantemente le somme necessarie a garantire loro un futuro migliore.  E’ importante iniziare prima possibile, perché così facendo si dovranno fare meno sacrifici, meno rinunce e soprattutto, si avrà il tempo sufficiente per avere a disposizione una somma di denaro maggiore al momento della scelta dell’ateneo migliore.

Quindi, una corretta pianificazione finanziaria della famiglia, non può prescindere dalla previsione di un piano di accumulo che garantisca ai figli – una volta terminato il ciclo di studi superiori – la possibilità di frequentare l’università o di avviare un’attività in proprio.

Sono tanti gli strumenti sul mercato che permettono il raggiungimento di questo obiettivo. Si va dai comunissimi Pac (Piani di accumulo costanti) a soluzioni di tipo assicurativo come i fondi pensione o le polizze vita miste a termine fisso. Queste ultime presentano, in alcuni casi, notevoli vantaggi rispetto ai Pac e ai fondi pensione. Infatti, alcune di queste polizze a termine fisso sono studiate appositamente per questo scopo. Oltre ad essere un salvadanaio in cui versare periodicamente le somme necessarie, hanno la peculiarità di prevedere la continuità dei versamenti delle somme – a carico della compagnia assicurativa – in caso di decesso o invalidità permanente del contraente/assicurato. Questo significa che, in caso di decesso della persona che versa le somme (genitori, nonni, zii), la compagnia assicurativa si farà carico di portare a compimento tutti i versamenti restanti fino al momento in cui il ragazzo potrà iscriversi all’università. Un vantaggio importantissimo. Per quanto riguarda i fondi pensione, invece, i vantaggi di questa formula sono diversi, a partire dalla deduzione fiscale dei premi versati fino a un massimo di 5 mila 165 euro annui. Dopo otto anni dall’adesione, poi, è possibile chiedere un anticipo sui capitali versati per finalità differenti. Per esempio, è possibile disporre del 30% delle somme accumulate per finanziare gli studi. Nel caso in cui si optasse per un piano di accumulo tradizionale o per un fondo pensione, sarà necessario però sottoscrivere anche una  polizza Tcm (polizza vita temporanea caso morte) che, in caso di prematura scomparsa di uno o entrambi i genitori, renda disponibili comunque le somme necessarie agli studi.

Infine, è sconsigliabile usare prodotti come libretti bancari e postali o conti deposito, perché sono strumenti con orizzonte temporale di breve termine (e quindi con rendimenti attesi decisamente bassi), che mal si conciliano con la natura dell’accumulo di capitali per gli studi dei figli, che ha invece un orizzonte temporale di medio/lungo termine.

Ricchi di patrimonio ma senza il becco di un quattrino.

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Dalla crisi dei mutui Subprime ad oggi, la vecchia roccaforte del risparmio degli italiani sta crollando sotto i colpi della crisi economica e della forte tassazione. Il mattone non è più una garanzia, ma un grattacapo.

Per capire le ragioni della crisi strutturale del mercato immobiliare italiano che ha visto affondare le quotazioni di case, negozi, magazzini e capannoni in questi ultimi anni, dobbiamo fare un salto indietro di qualche anno, per la precisione a cavallo tra il 2006 e il 2007, quando ebbe inizio la crisi così detta dei mutui Subprime che ha falcidiato il mercato immobiliare, cresciuto in quegli anni a dismisura  sia sul fronte dei prezzi, sia sul fronte delle case disponibili alla vendita.

Banche, costruttori, immobiliaristi, politici e molti altri contribuirono: direttamente interessati a sostenere il fenomeno in quanto percettori di forti utili. Così tutto è durato oltre misura, oltre ogni ragionevole livello. Il risultato è stata l’esplosione della bolla immobiliare e di quella finanziaria nel momento in cui le famiglie, cui le banche avevano concesso mutui con troppa facilità senza curarsi troppo della reale capacità di questi soggetti di restituire il denaro loro prestato, non hanno più potuto onorare i loro impegni.

Nel frattempo le banche (pure le nostre) si scambiarono titoli cartolarizzati (operazione con la quale si converte ad esempio un mutuo in uno strumento finanziario simile ad una obbligazione, pronto per essere scambiato o peggio ancora ceduto ai risparmiatori) sino a crepare, ed il crack di Lehman Brother rappresentò l’apice della follia: sino al giorno prima le società di rating e gli analisti di tutto il mondo classavano quel colosso con tripla AAA, il massimo della solidità finanziaria.

Il resto è una storia a noi tutti tristemente nota.

Da noi la crisi finanziaria ed immobiliare si è abbattuta su una società gravata dalla presenza di un mercato del lavoro inefficiente, ma nel contempo grassa di privilegi sacri, arcaici ed intoccabili. Ha falcidiato – come ovunque nel mondo del resto – il valore degli immobili, fortino sacro dell’italico risparmiatore (giunti nel periodo pre-crisi a livelli tali da non consentire a dei ragazzi di comprare casa, nemmeno con mutui a 40 anni).

Nello stesso tempo non ha trovato un Paese pronto a mobilitarsi per affrontare l’emergenza, rimboccarsi le maniche e proiettarsi al futuro.

Ha invece trovato un Paese appesantito e ingessato sino allo stremo da una rigidità del lavoro che da anni produce solo ulteriore dispersione di risorse e zero progetti per modificare la situazione, solo provvedimenti tampone.

In questa situazione le nuove generazioni si sono trovate (e si trovano) a non poter svolgere un lavoro, oppure ad accontentarsi solo di lavoro precario, con stipendi piuttosto bassi. In definitiva i figli dei proprietari di immobili oggi non possono mantenere la casa che ereditano, e procedono a venderla – il  più delle volte – perché hanno bisogno di fare cassa (come anche molti proprietari).

Come si dice in economia? “Ricchi di patrimonio, ma senza il becco di un quattrino!” Cosa fai, ti vendi un balcone per andare avanti? non si può, devi vendere tutta la casa.

Questo fenomeno, tutt’ora in corso, ha prodotto, e produrrà, un ulteriore flusso di vendite di immobili, proprio perché i redditi – presenti e futuri – di gran parte della popolazione rimarranno bassi.

Ma non basta.

Il lavoro sarà sempre più legato alla produttività piuttosto che ai Ccnl (contratti di lavoro collettivi): il futuro degli italiani non sarà più basato su stipendi e pensioni garantite. E su questo, di recente, l’attuale Presidente del Consiglio è stato molto chiaro, senza sottili giri di parole: “Il posto fisso non esiste più”.

Ma ancora non basta, c’è dell’altro.

Un ulteriore fenomeno di erosione del valore degli immobili è collegato al pesante carico fiscale sulle seconde case, inasprimento inevitabile, perché il nostro Stato non può più tartassare ulteriormente il mondo produttivo, pena la chiusura di ogni tipo di attività.

Non possono fare altro: tassare il patrimonio visibile e non trasferibile oltre confine. E cosa c’è di meglio del patrimonio immobiliare degli italiani il cui valore supera la pazzesca cifra di 7.000 miliardi di euro? Nulla! E’ questa la grande ricchezza visibile degli italiani. Per capire meglio le dimensioni del fenomeno basta pensare che mettendo insieme tutto il debito pubblico dell’Italia (poco più di 2.000 miliardi di euro) e tutta la ricchezza finanziaria degli italiani (circa 4.500 miliardi di euro), non si raggiunge quella cifra.

Perciò, dati alla mano, sappiate che ogni qual volta il Governo avrà bisogno di reperire risorse, non ci penserà due volte a tassare gli immobili.

Da noi poi c’è anche una questione su cui tutti sembrano far finta di niente: la cementificazione è enorme, il rapporto abitazioni/popolazione è altissimo, dunque non abbiamo necessità di costruire nuovi alloggi, la popolazione diminuisce e l’unico motivo per spronare l’edilizia risiede nel fatto che essa produce reddito per moltissimi lavoratori ed operatori del settore e non è un caso che le poche detrazioni fiscali concesse dallo Stato siano proprio indirizzate verso interventi di recupero e restauro del patrimonio edilizio già esistente.

Per finire c’è da considerare l’importantissima questione di cui molto presto sentiremo parlare allo sfinimento su TV e giornali: l’inevitabile inasprimento dell’imposta di successione. Una manovra che garantirebbe alle casse dello Stato circa 40 miliardi di euro all’anno.

Oggi l’Italia è un paradiso fiscale da questo punto di vista. Caso unico in tutta Europa, abbiamo una franchigia di esenzione pari ad 1 milione di euro per ogni erede, e la tassa parte dal 4% per figli e coniuge.

Le medie europee sul tema sono molto più elevate e già sono forti le pressioni verso il Governo per allineare l’imposta di successione del Bel Paese alla media europea. Le indiscrezioni, parlano di abbassare l’esenzione a 100 mila euro e l’aliquota minima al 20%.

E’ chiaro?

Questo significa che chi erediterà una casa si dovrà ricomprare dallo Stato buona parte della casa stessa, senza contare l’ulteriore mazzata che sta per giungere: la revisione delle rendite catastali – in base alle quali si pagano Imu e Tasi – che saranno certamente ritoccate al rialzo.

Cosa credete causerà tutto questo al mercato immobiliare?

E’ la fine di un’epoca, signori e chi si sveglierà per primo potrà evitare gran parte dei guai. La crisi del mercato immobiliare è destinata ed essere permanente, non passeggera.

Parafrasando una famosa frase del film “L’ultima minaccia” di Richard Brooks, verrebbe da dire: <<E’ il de profundis del mattone, bellezza. L’ultimo saluto. E tu non ci puoi fare niente! Niente!>>.

La pianificazione successoria della famiglia legittima con e senza figli: fai la mossa giusta.

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Cari lettori, come ricorderete, ad agosto ho scritto un articolo riguardante la pianificazione successoria della famiglia di fatto, sottolineando la necessità per tali famiglie di prendere provvedimenti in tal senso, in considerazione del mancato riconoscimento giuridico, in Italia, di tale vincolo affettivo e dell’assenza di tutela finanziaria, assicurativa e previdenziale da parte dello Stato, cui sono condannate tali coppie. Le recenti posizioni del governo, inoltre, non vanno certo incontro alle esigenze di tutela delle coppie di fatto.

Discorso inverso, invece, per quanto riguarda la “famiglia legittima”, ovvero quella riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico e tutelata da apposite norme. Apparentemente sembrerebbe superfluo occuparsi di pianificazione successoria per tali famiglie, ma così non è. Anche in questi casi è necessario pianificare la futura assegnazione dei propri beni in modo efficace, integrando consigli legali a soluzioni assicurative. Attenzione, non si tratta di sostituire il notaio nella redazione del testamento. Si tratta, piuttosto, di integrare soluzioni utili al soddisfacimento di bisogni percepiti o più volte latenti di trasferimento della ricchezza alle persone più care. Ad esempio, volendo semplificare, nel caso della famiglia tradizionale composta da due coniugi con figli possiamo individuare due esigenze che spingono i coniugi alla pianificazione:

  1. La tutela dei familiari con trattamento ereditario equo;
  2. Il rafforzamento della posizione i soggetti deboli o meritevoli.

Nel primo caso, la polizza vita intera diviene strumento utile per l’assegnazione della componente liquida del patrimonio a compensazione dei beni non liquidi assegnati per via testamentaria. Infatti, i beni appartenenti ad uno dei coniugi, o ad entrambi,  hanno difficilmente tutti identico valore ed il beneficio di polizza ben si presta a tutelare gli eredi assegnatari di beni di minor valore. La TCM (Polizza vita temporanea caso morte), invece, ben si adatta a coprire eventuali passività legate ai beni da assegnare, come nell’ipotesi di immobili gravati da mutuo.
Nel secondo caso, la polizza a vita intera si fa preferire al testamento per via della privacy che copre il beneficiario. Il testamento, infatti, in qualunque forma esso venga redatto  – pubblico, segreto od olografo che sia – all’apertura della successione viene pubblicato. Nel rispetto dei diritti ereditari, invece, la polizza permette al beneficiario di rimanere riservato. Pensate, ad esempio, all’esigenza di un genitore che non vuole appendere i cartelloni pubblicitari circa il desiderio di rafforzare la tutela del figlio meno fortunato nelle scelte familiari e professionali.

Consideriamo ora il caso della famiglia legittima senza figli. Anche in questo caso possono essere essenzialmente due le esigenze che spingono alla pianificazione:

  1. La tutela reciproca dei coniugi;
  2. Il rafforzamento della posizione di soggetti deboli o meritevoli.

Per quel che riguarda la tutela reciproca dei coniugi, essi hanno generalmente posizioni patrimoniali non trascurabili e spesso equivalenti. Due polizze vita intera con contraente/assicurato un coniuge e beneficiario l’altro divengono strumenti  utili per l’assegnazione della componente liquida del patrimonio a compensazione dei beni non liquidi assegnati attraverso due distinti testamenti “incrociati”, con cui l’uno nomina erede l’altro. La TCM, invece, ben si adatta, come dicevo prima, a coprire eventuali passività legate ai beni da assegnare (come nell’ipotesi di immobili gravati da mutuo) o a fornire il capitale necessario alla liquidazione dei genitori legittimari.
Nel secondo caso (Il rafforzamento della posizione di soggetti deboli o meritevoli) può capitare il caso di un soggetto, il coniuge e/o altro dipendente affettivo, che ha una posizione patrimoniale debole. La polizza a vita intera si fa preferire per l’opzione di rendita utile a garantire flussi di cassa per il mantenimento del tenore di vita, mentre la TCM ben si adatta alla necessità di coprire passività, quali mutui, debiti e carichi fiscali.

In entrambi i casi, la pianificazione testamentaria e assicurativa risultano essenziali quando si vogliono escludere dall’assegnazione dei propri beni fratelli o altri eredi legittimi “scomodi”.

Come abbiamo visto, quindi, le esigenze che possono spingere la famiglia legittima a pianificare la propria successione, possono essere di vario genere e tante altre ne emergono poi caso per caso. Senza volerci addentrare nell’elenco delle varie casistiche, basta ricordare che, nel rispetto delle quote di legittima, l’assegnazione del proprio patrimonio (mobiliare ed immobiliare) è libera e ci consente di poter gratificare economicamente anche quelle persone che, pur prive di vincolo parentale, ci hanno voluto bene e/o ci hanno assistito con amore durante la nostra vita.

Tutela del reddito della famiglia: proteggere i propri cari dalle disgrazie

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La famiglia è universalmente riconosciuta come nucleo sociale per eccellenza, tanto da meritarsi una serie di tutele riconosciute dalla Costituzione.

Essa è centro gravitazionale di affetti, valori e tutele, oggi più che mai. Basti pensare al ruolo sempre meno presente dello Stato nell’assicurare assistenza e sostegno economico a quelle fasce di popolazione svantaggiate che, per svariati motivi, non possono provvedere autonomamente al proprio sostentamento o che hanno bisogno della continua assistenza di una persona per lo svolgimento anche delle più semplici attività quotidiane. Stiamo parlando di minori, anziani, invalidi e inabili.

I familiari rappresentano una vera e propria ancora di salvezza per questi soggetti, senza i quali, per alcuni di loro, sarebbe impossibile la sopravvivenza.

Il punto della questione però è un altro. Incontro a quale destino andrebbero queste persone, nel caso in cui dovesse venire a mancare anche solo uno dei portatori di reddito della famiglia (spesso le famiglie sono persino monoreddito)?

E’ vero che l’amore di un proprio caro non ha prezzo e nessuna somma al mondo sarà mai in grado di colmare il vuoto lasciato nei nostri cuori, ma la scomparsa del sostegno economico di una famiglia, senza le opportune tutele, rischia di trasformarsi in una tragedia con conseguenze più ampie.

Immaginate un signore quarantenne, sposato e con figli minorenni ancora in età scolare. Lui dipendente di una ditta di autotrasporti, la moglie casalinga, casa di proprietà e mutuo ancora da pagare. Per svariate circostanze il nostro quarantenne si ammala e nel giro di qualche mese viene a mancare. Egli era riuscito a mettere da parte una piccola somma di circa quindicimila euro. Al dramma della scomparsa del marito e padre dei due bambini, si somma quello della totale assenza di reddito della famiglia, l’istruzione da garantire ai figli e il mutuo da pagare. L’unica risorsa economica sulla quale potrà contare la famiglia sono i quindicimila euro (al termine della successione), che tra spese di funerale e varie basterà per poco tempo.

Come avrebbe potuto proteggere la propria famiglia il nostro quarantenne?

Lo strumento da utilizzare, in una corretta pianificazione finanziaria della famiglia, per far fronte a rischi di questo tipo è la TCM, ossia la polizza assicurativa caso morte, che a fronte del pagamento annuo del premio, garantisce l’erogazione ai beneficiari delle somme pattuite in caso di decesso dell’assicurato (in alcune polizze è coperto anche il caso di invalidità permanente).

La domanda successiva da porsi è: quale somma devo assicurare?

Non c’è una risposta univoca, e a questa domanda può rispondere solo ciascuno di noi in base agli impegni che ha in essere, allo stile di vita che conduce la propria famiglia, alle esigenze delle persone a carico e così via. Un buon punto di partenza è quello di considerare subito l’ammontare dei debiti a carico (mutui, prestiti, etc.) in modo almeno da non lasciare passività agli eredi e poi considerare il costo annuo della famiglia e quantificare il fabbisogno economico dei soggetti a carico per il tempo fino a quanto non saranno in grado di provvedere autonomamente.

Ad esempio, se si vuol tutelare un minore fino al completamento del ciclo di studi universitari, si dovrà quantificare una cifra da assicurare che tenga conto anche dei costi legati ad un percorso di studi universitari.

Tutelare la propria famiglia passa anche da una corretta pianificazione finanziaria e dalla copertura dai grandi rischi, partendo proprio dalla tutela del reddito che, non allevierà mai il dolore per la scomparsa di una persona cara, ma se ciò dovesse accadere, consentirà di affrontare più serenamente il futuro.

La tutela successoria delle coppie di fatto: Testamento, TCM e Vita Intera

Nell’Italia contemporanea, la famiglia si presenta come una pluralità dinamica e flessibile di soluzioni, che risponde alle nuove caratteristiche della vita sociale e si adatta ad esse: ci si sposa meno e più tardi, la convivenza è molto più frequente, si fanno meno figli, ci si separa e si divorzia più spesso e, di conseguenza, si formano nuove famiglie ricostituite. La famiglia è oggi fondata sull’affetto, basata più sull’amore che sul rigore, è meno normativa e più sociale. Risulta, quindi, insoddisfacente la definizione di famiglia presente nella Costituzione, “Società naturale fondata sul matrimonio”, da cui dipende la tutela previdenziale e successoria dei componenti della famiglia prevista dal nostro ordinamento: diritto alla pensione di reversibilità ed alla quota di legittima del coniuge.

Immaginate la posizione di un cliente cinquantenne convivente con una bella signora quarantenne con figlio minorenne a carico. In caso di premorienza del cinquantenne, senza alcuna pianificazione, nessuna quota ereditaria e nessuna pensione di reversibilità spetterebbe alla convivente. L’unico erede sarebbe il figlio minorenne che, in quanto tale, avrebbe bisogno del consenso del giudice tutelare per l’amministrazione del patrimonio. Il patrimonio ereditato rimarrebbe, quindi, vincolato e non utilizzabile per il mantenimento del tenore di vita della convivente.

Proviamo a valutare i possibili vantaggi di una pianificazione successoria articolata in 3 passaggi: Testamento, Vita intera e TCM.

Attraverso il testamento sarebbe possibile per il cinquantenne assegnare il patrimonio immobiliare al figlio minore, riconoscendo allo stesso almeno la quota di legittima stabilita nel 50%. Con un patrimonio immobiliare inferiore al milione di euro non sarebbe prevista imposta di successione.

Attraverso una polizza a vita intera sarebbe possibile assegnare il patrimonio liquido alla compagna sino al 50% di quota disponibile, abbattendo completamente il carico fiscale altrimenti previsto nella misura dell’8% (Imposta di Successione) e quello relativo ai rendimenti (Imposta sul Capital Gain).

Attraverso una TCM sarebbe infine possibile aumentare la tutela successoria della compagna in considerazione dell’effetto leva che tale tariffa è in grado di generare. La quota disponibile, infatti, viene “consumata” dai soli premi, notoriamente molto contenuti in confronto alla possibile prestazione della Compagnia.

A questo punto, il Consulente Finanziario, secondo voi, può svolgere un ruolo attivo nella sensibilizzazione verso le esigenze di copertura e nella raccomandazione delle soluzioni di tutela della coppia di fatto, ancora priva in Italia di riconoscimento giuridico?